Nel corso di una carriera progettuale durata piú di 60 anni e costellata da successi professionali e riconoscimenti disciplinari con pochi eguali, Romaldo Giurgola si é trovato ad attraversare culture e paesaggi architettonici profondamente diversi, dall’Italia all’America, dall’America alla Scandinavia, dalla Scandinavia all’Australia, dall’Australia all’Asia.
Per quanto eterogeneo dal punto di vista del programma, della committenza e, anche, dei risultati formali, il lavoro prodotto nelle stazioni di questo percorso epocale conserva una forte organicità complessiva, riflettendo tanto un modo, tipicamente Giurgoliano, di interpretare logicamente il contesto sociale e produttivo, quanto un portato culturale di matrice classica – anche questo per molti versi idiosincratico – continuamente filtrato e arricchito dall’esperienza e sempre pronto ad intervenire nel merito delle decisioni architettoniche.
Molte delle opere cosí realizzate danno forma ad un paradosso, nel momento in cui finiscono per definire ‘naturalmente’ l’edificazione dello spazio e l’evoluzione dei luoghi, in funzione peró del fatto di essere state concepite da un forestiero congenito quale é sempre stato questo itinerante romano del ventennio.
Se si vuole, é una tale capacità a produrre testimonianze collettive (e come tali storiche) di costruito ‘dall’esterno’ che conferisce all’accademismo etico e pragmatico insito nella lezione autobiografica di Giurgola una portata formidabile, anche e soprattutto alla luce del contesto odierno. In fin dei conti, in un mondo architettonico come quello contemporaneo, dove la labilità del confine geografico facilita per forza di cose il prevalere dell’immagine sulla sostanza, la pratica produttivo-concettuale di Giurgola suggerisce strategie possibili a chi fosse ancora interessato ad esplorare il vero significato e la possibile rilevanza del nomadismo professionale, a fronte di radicamenti culturali (presenti e futuri) troppo importanti per essere sottovalutati o, peggio, disconosciuti.
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